sabato 30 marzo 2013

L'anomalia dei post comunisti italiani

(LO)Può sembrare bizzarro e paradossale che il fallimento del tentativo di formare il governo da parte di un post-comunista debba essere certificato da un ex comunista. Ma guardando la faccenda da un punto di vista più generale non lo è affatto. Perché quanto sta avvenendo è il frutto di una crisi che si consuma tutta intera all'interno della tradizione del post-comunismo italiano. È da questa area politica che da quarant'anni a questa parte sono giunte le resistenze più accanite a qualsiasi tentativo di riforma sul terreno istituzionale ed economico in nome di una presunta fedeltà alla Costituzione nata dalla Resistenza che però nasconde la pretesa di tenere inchiodata la società italiana agli anni '70, quelli della massima egemonia del Pci sul mondo del lavoro e sull'intero paese.


Ed è sempre da quest'area politica che da quarant'anni a questa parte che si perpetua all'infinito e con la massima determinazione la massima gattopardesca che prevede la predicazione del cambiamento per lasciare tutto e comunque immutato. Questa crisi, che ha il suo punto di massima visibilità nella circostanza che il fallimento di Bersani debba essere certificato da Napolitano, non si scarica sul partito responsabile delle mancate riforme, quelle che sono alla radice delle attuali e particolari difficoltà in cui si trova l'Italia in questa fase storica. Grava esclusivamente sulle spalle dell'intero paese. Che a causa della posizione assunta dal segretario del Pd all'insegna del “non avrai altro governo al di fuori del mio” non solo rischia di non avere un esecutivo nel momento di massima emergenza degli ultimi vent'anni. Ma, soprattutto, corre il pericolo di vedere il proprio sistema democratico, proprio quello nato dalla Resistenza e fissato nelle norme della Costituzione, finire in pezzi sotto i colpi di chi punta a sostituire la democrazia rappresentativa con quella falsamente diretta cara a tutti i totalitarismi di stampo giacobino. Al pettine, in sostanza, è giunto il nodo dell'anomalia italiana del secondo dopoguerra. Cioè la presenza nel nostro paese prima del maggior partito comunista dell'Occidente e poi del maggior partito post comunista dell'intero pianeta. Partiti formalmente diversi ma sostanzialmente identici nel rivendicare il proprio ruolo di forza comunque destinata ad esercitare la propria egemonia paralizzante e conservatrice sulla società italiana.

mercoledì 27 marzo 2013

Giustizia all'italiana
Mentre si reclama il diritto a processare in Italia i Marò sequestrati dagli indiani, la giustizia italiana non perde occasione per mostrare al mondo la sua assenza di credibilità, compromettendo sempre più la possibilità che i nostri connazionali prigionieri in India possano essere giudicati da un nostro tribunale (e forse per loro è solo un bene ...).I due imputati per il delitto di Perugia, Knox e Sollecito, dopo essere stati condannati in primo grado, detenuti per alcuni anni, assolti in appello, ora sono rispediti in appello, a Firenze, con l'annullamento della sentenza di assoluzione.Io non so se siano colpevoli o innocenti e non mi interesso al caso.A me interessa stigmatizzare questo comportamento ondivago che scredita non solo la magistratura italiana, ma l'intera Nazione.E dopo questo appello ci sarà un ulteriore giro in cassazione e poi magari di nuovo in appello e così via, con l'unico risultato, se fossero innocenti, di una ingiusta persecuzione e, se colpevoli, di legittimi dubbi sulla fondatezza della loro dichiarata colpevolezza.Comunque vada, sfiducia totale nella giustizia e nelle istituzioni.


martedì 26 marzo 2013

Inciucio o voto, il dilemma del Pd


(LO)Tre giorni sono trascorsi da quando il presidente della Repubblica ha conferito al segretario del Pd l'incarico di verificare preliminarmente «l'esistenza di un sostegno parlamentare certo», tramite consultazioni aperte a tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento. E in questi tre giorni Bersani tutto ha fatto fuorché quanto gli è stato chiesto dal presidente, dal momento che né i sindacati, né le associazioni imprenditoriali, né Roberto Saviano e don Luigi Ciotti possono esprimere un «sostegno parlamentare». Perché, a che titolo consultarli? Non solo, dunque, non ha ancora iniziato a verificare ed “esplorare” alcunché – forse, si potrebbe sospettare, per prendere tempo essendo indeciso sul da farsi – ma ha alimentato un'indebita confusione tra rappresentanza sindacale, sociale e politica, se non addirittura un'interferenza istituzionale.


A meno di ritenere che il metodo della concertazione con le parti sociali, già controverso rispetto ai dossier di loro interesse, debba essere esteso anche alla formazione dei governi. Le rappresentanze sindacali e imprenditoriali hanno forse ricevuto dai loro iscritti anche un mandato a rappresentare le loro posizioni politiche in merito alla formazione del nuovo governo? E perché mai gli iscritti a queste associazioni di categoria dovrebbero godere di una sorta di doppia rappresentanza politica, la prima espressa tramite il voto, alla quale si aggiunge quella esercitata come corporazione? Ma non solo tempi (lunghi) e metodo (concertativo), anche il merito. Nel week end Bersani ha tratteggiato «la strada di un doppio registro», sperando che «si possa trovare un equilibrio di responsabilità».


In sostanza, ritiene di poter ottenere dagli eletti del M5S la fiducia su un programma di “cambiamento”, politico e sociale, e dal centrodestra quanto meno una tregua per raggiungere “larghe intese” su alcune riforme istituzionali («di cui si parla da 15 anni»), compresa la legge elettorale. La sua proposta si rivolge quindi a tutte le forze parlamentari, «su uno schema che consente a ciascuna di riconoscervisi». In pratica, Bersani continua a proporre un governo monocolore Pd-Sel, sostenuto da maggioranze variabili su una sorta di menù “a la carte”. Ma Napolitano nel conferirgli l'incarico aveva chiesto altro. Difficilmente, infatti, uno schema a maggioranze variabili è garanzia di «un sostegno parlamentare certo» e di un governo con «pieni poteri».


Il problema è che se interpretato per quello che davvero è, per come Napolitano l'ha spiegato venerdì scorso incontrando la stampa, l'incarico a Bersani rischia di spaccare il Pd, visto che per assicurare un governo con «pieni poteri», non esposto all'umore piuttosto instabile di maggioranze variabili, occorre una qualche forma di collaborazione con il Pdl, che invece il segretario del Pd, e diversi esponenti del partito a lui vicini, continuano ad escludere: «Non mi vengano a parlare di concordia quelli che cinque mesi prima delle elezioni hanno lasciato il cerino in mano ad altri sui danni che avevano provocato». Dopo Confindustria, con l'allarme lanciato dal suo presidente Giorgio Squinzi («l'ossigeno per il nostro sistema industriale è ormai pochissimo»), anche i sindacati (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) chiedono un governo «a tutti i costi» e al più presto. Un governo forte, non di minoranza. «Siamo contrarissimi a che si torni al voto, il quel caso l'Italia potrebbe somigliare alla Germania all'epoca della Repubblica di Weimar», ha osservato Bonanni della Cisl.


E sulle cose da fare, sulle tasse, una Camusso quasi “berlusconiana”: «Via l'Imu sulla prima casa fino ad un importo massimo di 1.000 euro. La tassa sulla casa, insieme alla Tares e al rincaro dell'Iva sono minacce da disinnescare». Anche nel contesto di una prova muscolare come sono sempre le manifestazioni di piazza, sabato scorso, e ancora ieri, Berlusconi ha chiarito che il Pdl è pronto a condividere con il Pd la responsabilità del governo (proponendo Bersani premier e Alfano vicepremier). A patto che il Pd si disponga ad una scelta condivisa per un «moderato» come prossimo inquilino del Colle e che la priorità del nuovo esecutivo sia l'economia (sottinteso, dunque, niente provvedimenti ostili a Berlusconi), mentre è ragionevole supporre che sul piano delle riforme istituzionali la proposta del Pdl resti lo scambio tra doppio turno di collegio e presidenzialismo. Berlusconi sta chiedendo “l'impossibile” per farsi dire di no? Forse, ma in qualsiasi trattativa si parte chiedendo “l'impossibile”. Di sicuro però, per dare al paese un governo forte, con numeri certi, la distribuzione dei seggi parlamentari parla chiaro: stante il “no” di Grillo, servono i voti del Pdl, che però il Pd ritiene «impresentabile». Posizione legittima, purché si ammetta che è il frutto non di uno stato di necessità, ma di una libera scelta politica, di natura identitaria, che implica il ritorno immediato alle urne e che significa di fatto disattendere gli auspici alla base dell'incarico che il presidente Napolitano ha attribuito al segretario del Pd. Viceversa, se qualcuno nel Pd ritiene che occorra una “politica oltre Bersani”, è questo il momento in cui dovrebbe manifestarsi.


Il dilemma che deve sciogliere il Pd è di quelli da far tremare i polsi: dopo aver nutrito il proprio popolo a pane e antiberlusconismo per vent'anni, è ovvio infatti che qualsiasi “inciucio” col “giaguaro” verrebbe pagato a caro prezzo. Il rischio è una spaccatura del partito e un sonoro “vaffa” anche da parte degli elettori più fedeli, quindi meglio il voto subito che sedersi al governo con Berlusconi o uno dei suoi. Ma è anche vero che la “scissione” del Pd, tra i suoi elettori, è già strisciante, come prova la decisione di molti di essi di dare il proprio voto a Grillo. Ed essere richiamati alle urne già a giugno, ritrovandosi Bersani candidato premier (e magari a Palazzo Chigi da sfiduciato, come spera ancora il segretario), non farebbe cambiare idea a molti.

domenica 24 marzo 2013


In piazza l'Italia migliore ( una risposta a chi del PDL non è voluto esserci)


Leggevo l'altro giorno sul Mattino di Padova un intervento di un Consigliere Regionale Veneto del PDL che diceva le sue ragioni per non essere a Roma ( ora se è tanto schifato vada nel gruppo misto o si dimetta dal nostro Partito)

Essendo io un sostenitore  della  politica delle manifestazioni di piazza, devo ribadire che a Roma, al sole di Piazza del Popolo si è ritrovata l'Italia migliore.Un'Italia che c'è e che ha detto di volerci essere anche per il futuro CON Silvio Berlusconi.Un Berlusconi determinato, chiaro, presente anche se mi è sembrato ancora indebolito dopo il recente ricovero.Un Berlusconi che ha ribadito i principi ed i valori del Centro Destra, a cominciare dalla guerra alle rapine fiscali, ma che non ha disdegnato di menare fendenti su Monti, Bersani, Fini, Di Pietro i magistrati, Grillo, anche evidenziando il bluff della "credibilità" internazionale dei tecnici resa manifesta dalla vicenda dei Marò.Un Berlusconi pronto ad una nuova campagna elettorale, come spero accada e che ha assunto, coram populo, un impegno forte non solo verso i suoi elettori, ma con tutti gli Italiani.Non condivido, ovviamente, l'alternativa alle elezioni rappresentata da un "governo forte" che significherebbe infettarsi governando assieme ai comunisti, ma posso sperare che dopo le parole di oggi Bersani ribadisca l'intenzione di non trattare con il Cavaliere e, quindi, portarci tutti al voto a giugno.In questa stessa giornata i telegiornali hanno proiettato l'immagine degli arrabbiati permanenti che vogliono bloccare la TAV, quelli del "no a tutto", quelli della "decrescita felice" , denunciati anche dal Cavaliere che ha ripetuto un concetto a me molto caro: non esiste la felicità nella povertà che ci propongono.Dall'altra parte abbiamo visto un pallido e corrucciato Bersani balbettare un resoconto dei suoi primi passi da esploratore.Chi mai può pensare che una rabbia pauperista o la tristezza congenita dei funzionari di partito possano risollevare l'Italia e riportarla sulla via del benessere e della crescita ?Il Centro Destra, invece, c'è e "la logica dell'intelligenza e l'ottimismo della volontà e della speranza" ci dice che la strada da perseguire con perseveranza e determinazione è quella indicata dal suo Leader.Escludendo, però, ogni governo, diretto o indiretto, con i comunisti.

Dunque se il PDL vi va stretti allora andatevene....e lasciate spazio a chi lo ama!

domenica 17 marzo 2013


Boldrini e Grasso in spregio agli elettori di Centro Destra


I comunisti hanno, con un colpo di mano, fatto valere quei centomila voti di margine e, offendendo i dieci milioni di elettori del Centro Destra, hanno eletto alla presidenza della camera una vessillifera dell'immigrazionismo, sempre in prima fila, al servizio delle organizzazioni internazionaliste, a mettere i bastoni fra le ruote e ad accusare la politica anti immigrazione del governo Berlusconi.Alla presidenza del senato, come “ciliegina”, un magistrato.Se Bersani voleva dare un chiaro segnale di guerra, non avrebbe potuto essere più chiaro.Confortante la prima reazione del PdL già all'annuncio dei nomi.Adesso i parlamentari del Centro Destra (Lega inclusa schiaffeggiata dalla scelta della Boldrini) dovranno indossare mimetica ed elmetto e trasformare in un Vietnam ogni legge, ogni provvedimento, fino a costringere alla resa il prossimo governo e tornare alle urne per riprendere in mano il destino della Patria prima che costoro ci riempiano di immigrati e di tasse per mantenerli (e delle tante altre pessime idee contenute negli otto punti di Bersani e nel programma dei grillini).

mercoledì 13 marzo 2013

Finalmente Monti ne ha azzeccata una ... forse
Con tre mesi di ritardo il governicchio di Monti riesce ad azzeccare una mossa in politica estera e decide di trattenere in Italia i due Marò rapiti e sequestrati dagli indiani del Kerbala.Il governo indiano strepita ma ... a me viene il sospetto che si tratti di un gioco delle parti per togliere le castagne dal fuoco ai due governi ficcatisi nell'ennesimo cul de sac.L'India non poteva rilasciare i due nostri connazionali pena una rivolta popolare.L'Italia non poteva consentire che chi ha svolto un servizio pubblico internazionale fosse sequestrato da un governo sovrano.Così l'uovo di Colombo.Noi diamo una licenza e voi ve li trattenete in Italia.Così noi giustifichiamo agli occhi del nostro popolo la perdita della custodia con un inganno italiano e voi vi fate belli con i vostri cittadini.Poi il tempo farà dimenticare tutto.Per la verità ci avevano provato a Natale, ma forse non erano stati sufficientemente chiari da farsi comprendere da Monti e, del resto, i magistrati italiani che potevano fermare il rientro dei Marò in India per una delle tante indagini che spesso aprono, erano in tutt'altre faccende affaccendati.Così l'India ha dovuto trovare il pretesto delle elezioni, con un permesso di un mese (a Natale solo dieci giorni !!!) e, finalmente, Monti ha capito.Pensate che sia lontano dal vero ?

martedì 12 marzo 2013

Berlusconi come El Cid per il centrodestra


(LO)Se non lo faranno i giudici milanesi ci riusciranno quelli napoletani. Per Silvio Berlusconi il finale di partita è già segnato: condanne, carcere , interdizione dai pubblici servizi. Cioè estromissione per via giudiziaria dalla vita politica. Che un finale del genere trascini l'Italia al livello dell'Ucraina post-comunista è fin troppo evidente. Se il leader dell'opposizione, dopo vent'anni di incredibile accanimento giudiziario ai suoi danni, viene eliminato dalla scena pubblica non da un risultato elettorale ma da sentenze neppure passate in giudicato, vuol dire che nel nostro paese lo stato di diritto non esiste più e che la democrazia liberale realizzata dai Padri Costituenti si è trasformata in una finzione dietro cui si nasconde un autoritarismo ipocrita e sempre più invadente e drammatico.


Che fare di fronte ad una prospettiva da colpo di stato antidemocratico compiuto in nome della legge? E che fare di fronte all'eventualità di perdere il leader che negli ultimi vent'anni è riuscito a coagulare attorno a se la maggior parte dell'elettorato di centrodestra del paese ? La prima domanda dovrebbe riguardare non solo il Pdl ma anche tutte le forze politiche diverse da quelle del centrodestra. Dal Pd al Movimento Cinque Stelle. Perché se il meccanismo dell'esclusione dalla politica per via giudiziaria è questo, oggi tocca al Cavaliere nero ma domani potrebbe toccare allo smacchiatore dei giaguari o al comico a cui il primo dei dossier della sere ha già attribuito oscure ed anonime società in America Latina. E quale l'occasione migliore per mettere di fronte le altre forze politiche e l'opinione pubblica nazionale ed internazionale delle prossime consultazioni del Pdl con il Capo dello Stato? La denuncia deve essere fatta sul Colle più alto, nelle forme più chiare e solenni.


Per dimostrare che la questione Berlusconi non è un caso personale ma la dimostrazione vivente della anomalia giudiziaria esistente nel nostro paese. Anomalia da eliminare se non si vuole correre il rischio che l'autoritarismo mascherato diventi ufficiale ed irreversibile. La seconda domanda riguarda direttamente ed esclusivamente il Pdl. Come reagire di fronte al tentativo di decapitazione del proprio leader? L'ipotesi dell'assalto alle Procure sull'esempio di quelli che i fascisti del 21 facevano con le sedi dell'Avanti e della Case del Popolo non è realizzabile. Il popolo del centrodestra è pacifico, i fascisti non ci sono più ed i pochi rimasti votano per Grillo. Ogni reazione muscolare va dunque esclusa. Si può, naturalmente, decidere di tenere la manifestazione contro la giustizia ingiusta ed antidemocratica a Piazza Indipendenza, di fronte alla sede del Csm. Ma ad una operazione politica si deve rispondere con una operazione politica. E qualsiasi operazione di questo tipo passa attraverso la definizione del rapporto che si dovrà comunque creare tra il leader azzoppato o addirittura messo in carcere ed l'area politica che alle ultime elezioni ha raccolto circa il 30 per cento dei suffragi elettorali. Chi pensa ad una semplice operazione di scaricamento del Cavaliere non fa i propri interessi.


Dimentica l'insegnamento della storia secondo cui i tradimenti dei leader portano alla rovina dei traditori. Come, tanto per citare l'ultimo esempio della serie, il caso Craxi insegna. Al tempo stesso, però, non ci si può neppure cullare nell'illusione che tutto possa rimanere immutato. L'azione dei giudici, milanesi o napoletani che siano, apre il doppio problema non della successione ma della nuova collocazione di Berlusconi e della ristrutturazione dell'intero centrodestra. Il Cavaliere in carcere può essere la rovina del centrodestra ma anche una formidabile arma elettorale. El Cid Campeador di un grande schieramento anti-autoritario. Ma questo schieramento va costruito tenendo conto che è proprio il ruolo da Cid Campeador di Berlusconi può favorire la realizzazione di un rassemblement in cui rientrino tutti i delusi di Fini, Casini e dello stesso Monti e tutti quelli consapevoli che se si vuole evitare un futuro bipolarismo italiano incentrato sull'alternativa Pd-Grillo bisogna superare i particolarismi ed i personalismi del passato e dare vita ad un grande fronte della responsabilità e della libertà.

sabato 9 marzo 2013

Amici io sarò li!!! e mi piacerebbe salutare tutti gli amici in piazza. VI ASPETTO NUMEROSI (io sono li con la bandiera di FORZA ITALIA!)



lunedì 4 marzo 2013


Governissimo politico. Grillo out. Il piano 'segreto' di Berlusconi


ESCLUSIVO! (AI)- Un governo politico e non tecnico che duri almeno tre anni. E' questa la posizione di Silvio Berlusconi per risolvere la complessa situazione politica dopo le elezioni del 24-25 febbraio. Una fonte ai massimi livelli del Popolo della Libertà, molto vicina a noi Promoti della Libertà, spiega il piano della principale forza di Centrodestra. Nessun rapporto con il Movimento Cinque Stelle. "Beppe Grillo è totalmente inaffidabile. Ed è impensabile fare un esecutivo con lui", confida la fonte. Il problema è che Pierluigi Bersani si è attestato su questa posizione. Ma - dicono dalle parti di Palazzo Grazioli - non tutti nel Pd la pensano come il segretario.


 Quindi per il momento Berlusconi resta in attesa che naufraghi il tentativo di dialogo con l'M5S, sicuro che prima o poi il Partito Democratico busserà alla porta del Pdl. Secondo il Cav è chiaro che il premier non potrà essere lo stesso Bersani: primo perché non ha vinto le elezioni e secondo perché ha escluso all'indomani del voto la Grande Coalizione. Servirà una personalità di spicco di area democratica, ma non il segretario. Ipotesi in campo: Massimo D'Alema o Enrico Letta. Ma qualora il Pd non volesse spendersi in prima persona la carta giocabile sarebbe quella di Corrado Passera, ministro del governo Monti che non ha seguito il Prof della Bocconi nel naufragio elettorale. Ma Berlusconi non vuole un altro governo tecnico, bensì un esecutivo politico con dentro ministri dei due principali partiti.


 E il Quirinale? Rientra ovviamente nella partita. E in questo schema il prossimo capo dello Stato dovrebbe essere di Centrodestra. Il nome è quello di Gianni Letta, moderato e cattolico che può garantire le gerarchie della Chiesa e prendere voti in Parlamento anche dai centristi. Ovviamente Lega, Fratelli d'Italia e Sel resterebbero fuori dalla maggioranza. Berlusconi non ha alcun interesse a diventare presidente del Senato. "Non gli importa proprio", spiega la fonte. Anche se potrebbe in prima persona guidare un dicastero. L'obiettivo sarà quello di garantire l'Europa sulle riforme economico, modificare il Porcellum e cambiare la Costituzione per rispondere all'ondata di anti-politica: dimezzamento del numero dei parlamentari e fine del bicameralismo perfetto con l'introduzione del Senato delle Regioni. In cambio dell'ok all'elezione diretta del presidente della Repubblica, il Pdl potrebbe concedere al Pd una legge elettorale alla francese, ovvero doppio turno con collegi uninominali.

Senza una maggioranza omogenea


Carlo Azeglio Ciampi è il responsabile dell’attuale stallo, dei danni che ne derivano, della mancanza di una maggioranza parlamentare chiara e coesa.O, precisamente, il predecessore di Napolitano è responsabile di una legge elettorale che vediamo funziona benissimo alla camera, ma non altrettanto al senato.Ciampi ha infatti imposto che, in cambio della sua firma per la promulgazione della legge, al senato il premio di maggioranza fosse frazionato per regioni e non conteggiato a livello nazionale.Alcuni “puristi” dell’assemblearismo e delle chiacchiere che loro chiamano “democrazia”, storceranno il naso sul fatto che una coalizione, come quella di sinistra, che non ha raggiunto il 30% dei voti validamente espressi e, per di più, ha sopravanzato la coalizione concorrente di soli 120mila voti, possa governare.Ma la scelta è tra l’ingovernabilità della rappresentanza proporzionale e il governo della minoranza più forte.Certo, se questa minoranza si propone azioni devastanti, completamente ostili all’altra grande minoranza (leggi di privilegio per gli omosessuali, esproprio degli immobili, taglieggiamento dei redditi, razzie sui risparmi, accoglienza con tanto di regalia di cittadinanza e voto per stranieri che nulla hanno a che spartire con la nostra terra e con la nazionalità Italiana, cessione di larghe fette di Sovranità ad enti internazionali senza il consenso dei cittadini, introduzioni di leggi punitive della libertà di opinione e di manifestarla) allora molto, ma molto meglio nessun governo e quello di Ciampi diverrebbe un merito e non più una colpa.Ma in una Nazione veramente tale, dove le parti, pur differenziandosi su aspetti progettuali, avessero a base gli stessi Valori e Principi fondanti della comunità, la governabilità diventa un bene.Ma tutta questa è pura e semplice teoria, la politica è l’arte del possibile e cosa c’è di possibile in Italia oggi ?L’unica possibilità è un governo ancora una volta extraparlamentare, una sorta di “governo del re”, presieduto da un soggetto che sarebbe potuto essere, questa volta legittimamente, un Monti (ma oggi non più Monti Mario che si è bruciato schierandosi) che si presentasse in parlamento per ottenere la fiducia su pochi punti per “mandare avanti” lo stato, senza intaccare le scelte di fondo e restituire a giugno la parola agli elettori.Quali provvedimenti ?Il primo e principale per restituire dignità allo stato è, se non abolire e restituire compito prettamente politico, sospendere il pagamento dell’imu di giugno, lasciando al governo che verrà, eletto dal Popolo, deciderne la sorte definitiva.Il secondo è riformulare la legge elettorale per garantire la governabilità.Escludendo il ritorno al proporzionale le strade sono soltanto due:


un maggioritario uninominale secco senza alcun “recupero” proporzionale e senza la pagliacciata del doppio turno che favorirebbe il mercimonio dei voti;


 un maggioritario, come l’attuale, dove vince la coalizione che prendesse più voti, consentendo anche al senato il premio in base ai voti nazionali e non regionali.Naturalmente dovrebbe e potrebbe essere anche introdotta la decadenza automatica per chi, come Fini e i suoi o a seguito dello “scouting” di Bersani sui senatori grillini , cambiasse casacca dopo essere stato eletto per una coalizione o lista.Il resto, solo ordinaria amministrazione, perché un “governo del re” non ha alcun titolo per interferire nei rapporti politici o per imporre tasse o organizzare riforme.Per un governo del genere credo che Berlusconi, Bersani e Grillo potrebbero benissimo votare la fiducia in parallelo, sbloccare lo stallo e affrontarsi in una ordalia elettorale tra aprile e giugno.


venerdì 1 marzo 2013

La lezione che viene dalle urne


(lo) Le elezioni sono andate esattamente come tutti coloro che non seguono i sondaggi avevano previsto: paralisi totale del Parlamento e psicodramma democratico. Ma non si può dire che siano andate poi così male, perché sono una vera e propria lezione di fronte alla quale si aprono solo due possibilità: capirla e trarne le dovute conseguenze, oppure cadere dal ciglio del burrone nel quale ci troviamo e finire nel baratro, ed è giusto che la sordissima classe politica italiana si trovi di fronte a questo aut aut. Intanto il voto ha ristabilito una regola fondamentale della democrazia in cui nessuno credeva più: le urne possono davvero cambiare gli scenari politici, le opinioni e i sentimenti popolari hanno un peso, e bisogna tenerne conto.


È un’ovvietà che avevamo tutti dimenticato, avvitati come eravamo nella polarizzazione destra/sinistra, Roma vs Lazio, che aveva inutilmente caratterizzato le campagne elettorali dell’ultimo quindicennio, e questo è un indubbio merito della presenza in campo di Monti e Grillo. Il primo perché il suo flop è la riprova che quando sei chiamato a somministrare medicine quasi mortali puoi anche essere considerato un salvatore della patria, a patto però poi di scomparire dalla scena. Perché uno che ha imposto all’Italia il “fiscal compact” non è credibile quando parla di crescita; perché la sua società civile è fatta di persone lontanissime dalla durezza della vita quotidiana della maggioranza degli italiani, e perché il tipo di Europa incarnata dallo stesso Monti, e dal quale egli è amato – autocratica e autoreferenziale – non è né sentita né amata dagli italiani. Su Grillo c’è poco da dire.


Ha costruito un partito sull’insofferenza e lo scontento, sì, ma poi lo ha strutturato, lo ha dotato di un programma (credibile o meno è un altro discorso), e lo ha portato ad essere il primo partito italiano. Alla faccia di chi lo ha sfottuto fino all’altro ieri; alla faccia di chi gridava all’antipolitica e riduceva l’impresa grillina alle invettive del comico genovese. A prescindere da quello che faranno ora i deputati del M5S, la positività dell’ingresso nelle istituzioni di tante persone comuni, nuove, non avvezze alle regole dei palazzi romani, è enorme. È la dimostrazione che quello che la classe dirigente chiama spregiativamente populismo e antipolitica non è altro che legittimo scontento saputo diventare proposta politica, rinnovamento. Non c’è spauracchio che abbia tenuto. Certo, ora tutto dipenderà dalla coerenza che il partito saprà dimostrare nell’attività parlamentare; dopo simili aspettative una grande delusione non sarebbe sopportata, e un movimento con eletti e personalità piuttosto eterogenei forse potrebbe non sopravvivere. Altro discorso il Pd e il Pdl.


Alla sinistra è rimasta una unica certezza: quando si tratta di perdere non la batte nessuno. Perché? Perché rifiuta caparbiamente di diventare un partito socialdemocratico, anche quando ne ha la possibilità. Un partito che scarta il suo jolly per il cambiamento e si chiude a guscio nell’angusto perimetro di Sel e della Cgil è un partito che non vuole capire che questo paese non è di sinistra. Non di questa sinistra. Ma c’è un capolinea anche per i più ottusi, e il rinnovamento non sarà più rinviabile. È un’ottima notizia.